I
poeti lavorano di notte
quando il tempo non urge su di loro,
quando tace il rumore della folla
e termina il linciaggio delle ore.
I poeti lavorano nel buio
come falchi notturni od usignoli
dal dolcissimo canto
e temono di offendere iddio
ma i poeti nel loro silenzio
fanno ben più rumore
di una dorata cupola di stelle.
quando il tempo non urge su di loro,
quando tace il rumore della folla
e termina il linciaggio delle ore.
I poeti lavorano nel buio
come falchi notturni od usignoli
dal dolcissimo canto
e temono di offendere iddio
ma i poeti nel loro silenzio
fanno ben più rumore
di una dorata cupola di stelle.
Rimaniamo
dunque in tema e vediamo cosa ne pensa Alda Merini su chi siano i
poeti. La poetessa italiana ci offre una sua immagine per definire
l'universo misterioso della poesia: credo che tutti siano a
conoscenza dell'aura di “pazzia” che circonda la figura della
Merini; una conferma del luogo comune che avvicina la creatività
alla sofferenza psichica. Così, prima ancora di leggere, abbiamo già
in mente l'idea che i poeti, almeno un po', devono essere dei pazzi
(utilizzo la parola in modo volontariamente superficiale; mi piace
anche la definizione di “matto”, ma in questo caso “pazza” è
più appropriato).
La
Merini ci dice che i poeti lavorano, come tutti: il loro lavoro però
si svolge la notte, come quello dei panettieri: li possiamo
immaginare nel silenzio, in un tempo senza fretta, senza la crudeltà
delle urgenze. Forse non è proprio vero che le poesie vengono
scritte di notte, ma quello che possiamo immaginare è un momento di
solitudine, silenzioso e tranquillo, senza fretta alcuna. Ma l'idea
della notte ritorna al verso 4, che dice ”i poeti lavorano nel
buio”- lavorare nel buio può farci venire in mente varie cose:
qualcuno che scrive di notte, appunto, ma anche qualcuno che scrive
di nascosto, senza che altri lo vedano. E ancora: qualcuno che lavora
in zone oscure, come il profondo dell'anima (o della mente):
Ungarett, abbiamo sentito, parlava di un porto sepolto, altro luogo
buio, lontano dalla luce. I poeti cantano (come uccelli, sempre
notturni) e con il loro canto temono di offendere Dio. Perché mai
dovrebbero offendere Dio con un canto? In che modo si offende Dio? Si
offende, ad esempio, nominando il suo nome invano (così dice il
primo comandamento): forse i poeti parlano di Dio e lo nominano senza
la dovuta fede; oppure i poeti, come Dio, creano mondi.
Nei
versi conclusivi l'immagine più forte: i poeti vengono paragonati a
una cupola di stelle, come se la loro luce, nella notte, rimanesse
accesa a proteggerci. Ma l'immagine è più complicata di così: i
poeti, silenziosamente, fanno rumore (in effetti come gli usignoli))
e questo loro rumore è più forte di quello di ….di una dorata
cupola di stelle. Le stelle non fanno rumore, le stelle sono lontane,
silenziose, a volte già morte mentre le ammiriamo. Le stelle
brillano, però, e la loro luce cade su di noi come una pioggia
dorata. Forse il canto del poeta è una pioggia leggera e dorata, che
illumina la loro e nostra notte, nel silenzio e nella pace della
solitudine.
Questo
fa la poesia: ci fa sentire il rumore delle stelle come se fosse il
canto di un usignolo, ci fa immaginare una pioggia di cui nessuno ha
parlato e così ci costringe a vagare tra le parole, nella
tranquillità della notte.
Mi puoi dire le figure retoriche della poesia
RispondiEliminaCol cazzo
EliminaBella bro
RispondiEliminaBella zi
RispondiEliminaCiao bepi
RispondiEliminatu mamma
RispondiEliminama sta cojona non aveva altro da fare se non scrivere poesie zio porcoo
RispondiEliminaE tu non avevi altro da fare al posto di scrivere cazzate?😎
EliminaDraco malfoy è bono
RispondiEliminaceh ti pare. SI.
EliminaLa più grande poetessa di tutti i tempi
RispondiEliminaMa che è
RispondiElimina