domenica 12 luglio 2015

i poeti lavorano di notte

I poeti lavorano di notte
quando il tempo non urge su di loro,
quando tace il rumore della folla
e termina il linciaggio delle ore.
I poeti lavorano nel buio
come falchi notturni od usignoli
dal dolcissimo canto
e temono di offendere iddio
ma i poeti nel loro silenzio
fanno ben più rumore
di una dorata cupola di stelle.

Rimaniamo dunque in tema e vediamo cosa ne pensa Alda Merini su chi siano i poeti. La poetessa italiana ci offre una sua immagine per definire l'universo misterioso della poesia: credo che tutti siano a conoscenza dell'aura di “pazzia” che circonda la figura della Merini; una conferma del luogo comune che avvicina la creatività alla sofferenza psichica. Così, prima ancora di leggere, abbiamo già in mente l'idea che i poeti, almeno un po', devono essere dei pazzi (utilizzo la parola in modo volontariamente superficiale; mi piace anche la definizione di “matto”, ma in questo caso “pazza” è più appropriato).
La Merini ci dice che i poeti lavorano, come tutti: il loro lavoro però si svolge la notte, come quello dei panettieri: li possiamo immaginare nel silenzio, in un tempo senza fretta, senza la crudeltà delle urgenze. Forse non è proprio vero che le poesie vengono scritte di notte, ma quello che possiamo immaginare è un momento di solitudine, silenzioso e tranquillo, senza fretta alcuna. Ma l'idea della notte ritorna al verso 4, che dice ”i poeti lavorano nel buio”- lavorare nel buio può farci venire in mente varie cose: qualcuno che scrive di notte, appunto, ma anche qualcuno che scrive di nascosto, senza che altri lo vedano. E ancora: qualcuno che lavora in zone oscure, come il profondo dell'anima (o della mente): Ungarett, abbiamo sentito, parlava di un porto sepolto, altro luogo buio, lontano dalla luce. I poeti cantano (come uccelli, sempre notturni) e con il loro canto temono di offendere Dio. Perché mai dovrebbero offendere Dio con un canto? In che modo si offende Dio? Si offende, ad esempio, nominando il suo nome invano (così dice il primo comandamento): forse i poeti parlano di Dio e lo nominano senza la dovuta fede; oppure i poeti, come Dio, creano mondi.
Nei versi conclusivi l'immagine più forte: i poeti vengono paragonati a una cupola di stelle, come se la loro luce, nella notte, rimanesse accesa a proteggerci. Ma l'immagine è più complicata di così: i poeti, silenziosamente, fanno rumore (in effetti come gli usignoli)) e questo loro rumore è più forte di quello di ….di una dorata cupola di stelle. Le stelle non fanno rumore, le stelle sono lontane, silenziose, a volte già morte mentre le ammiriamo. Le stelle brillano, però, e la loro luce cade su di noi come una pioggia dorata. Forse il canto del poeta è una pioggia leggera e dorata, che illumina la loro e nostra notte, nel silenzio e nella pace della solitudine.

Questo fa la poesia: ci fa sentire il rumore delle stelle come se fosse il canto di un usignolo, ci fa immaginare una pioggia di cui nessuno ha parlato e così ci costringe a vagare tra le parole, nella tranquillità della notte.

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