martedì 28 luglio 2015

Se mentre dormi un'ape ti sfiora le labbra




Se mentre dormi un'ape ti sfiora le labbra
non sono io nemmeno con il desiderio.
Non ti voglio incosciente preso in altri sgni
ti voglio mentre pronunci il mio nome.
L'amore è un corpo-a-corpo: così nel verso
si stringono e s'intrecciano musica e parola.
Non esiste un confine tra le due
né fra di noi un impalpabile muro.

Maria Luisa Spaziani



Questa è una poesia d'amore e solo per similitudine ci parla del rapporto tra musica e parole nella poesia. E' una poesia che richiede, all'amato, una fusione tra due corpi e due anime: nessun confine a dividere i due. Allo stesso modo le parole, nei testi poetici, sono un'unico di suono e significato, inscindibile.

martedì 21 luglio 2015

Preghiere alle parole

I poeti pretendono molto dalle parole.
Le parole devono volare, raggiungere gli estremi.
Le parole devono scendere in profondità ma anche raggiungere il cielo.
Devono essere carne, energia, collegamenti, battiti, fremiti.
Devono suonare, essere canto, corno inglese, ultrasuono.
I poeti chiedono alle parole di scatenare le forze cosmiche: balli di streghe, visioni, voli pindarici, una scossa elettrica che ci porti al cuore dell'universo.

Le parole stanno comunque nel vocabolario, dove troviamo scritto che le caratteristiche fondamentali dei nervi sono la eccitabilità è la conduttività.

Segni umbratili di nervi: proviamo a tradurre? Le parole, nell'ombra, innescano collegamenti e conducono le emozioni.

Non chiedermi parole ... M.L. Spaziani

Non chiedermi parole oggi non bastano.
Stanno nei dizionari: sia pure imprevedibili
nei loro incastri, sono consunte voci.
È sempre un prevedibile dejà vu.
Vorrei parlare con te - è lo stesso con Dio -
tramite segni umbratili di nervi,
elettrici messaggi che la psiche
trae dal cuore dell’universo.
Un fremere d’antenne, un disegno di danza,
un infinitesimo battere di ciglia,
la musica-ultrasuono che nemmeno
immaginava Bach.

Maria Luisa Spaziani

Gli strumenti della poesia sono le parole ma il tentativo della scrittura poetica è quello di andare oltre, di riuscire ad espandere le possibilità comunicative del linguaggio.
Maria Luisa Spaziani lo dice esplicitamente, a volte le parole non bastano, per quanto imprevedibili siano le infinite combinazioni che si possono produrre a partire da un dizionario. Qualche volte danno l'impressione di essere state troppo logorate dall'uso: i poeti di solito leggono molte poesie e possono avere la sensazione che non si possa trovare niente di nuovo.
Soprattutto quando si vuole comunicare qualcosa di molto .... Profondo ? Intimo? Non ho idea di chi sia l'interlocutore di questo testo, ma la Spaziani cerca il linguaggio che utilizzerebbe per un colloquio con il divino.
  E allora le parole devono essere altro, devono appartenere al mondo della carne diventando nervi o farsi invisibili energie nate dal profondo dell'universo. Devono essere vibranti e capaci di cogliere segnali, impercettibili come un movimento di palpebra, una musica che non si possa ascoltare attraverso i canali sensoriali consueti.

Corno inglese, Eugenio Montale

Il vento che stasera suona attento
-ricorda un forte scotere di lame-
gli strumenti dei fitti alberi e spazza
l' orizzonte di rame 
dove strisce di luce si protendono
come aquiloni al cielo che rimbomba
(Nuvole in viaggio, chiari
reami di lassù! D' alti Eldoradi
malchiuse porte!)
e il mare che scaglia a scaglia,
livido, muta colore
lancia a terra una tromba
di schiume intorte;
il vento che nasce e muore
nell' ora che lenta s' annera
suonasse te pure stasera
scordato strumento,
cuore
Eugenio Montale

Attenzione: qui ci accostiamo a Eugenio Montale, forse il poeta per eccellenza del XX secolo. Non ha niente a che vedere con il vate di dannunziana memoria, non è certo il tipo da vestirsi di raso e velluto e neppure il personaggio che si può immaginare cavalcante sulla spiaggia; ed è quanto di più lontano possibile da una figura di santone o folle, che trae ispirazione dal suo contatto con gli inferi. Eppure, nella sua normalità di uomo borghese, ha saputo, attraverso le sue poesie, farsi carico di una autorevolezza da vaticinante. Che sia dovuto al fatto che i suoi testi sono spesso di difficile comprensione? In parte, insieme al fatto che il ritmo, il tono, oggi diremmo il mood delle sue poesie sembra che sia lì a dirti: ho visto cose che voi umani...
E allora ci avviciniamo in punta di piedi ad una sua poesia: si chiude con la parola cuore e la cosa potrebbe essere di buon auspicio. E' sera,  il vento suona attraverso gli alberi fitti come fosse un attento musicista (e gli alberi diventano gli strumenti del vento) producendo un rumore metallico; il suo soffio pulisce l'orizzonte al tramonto, laggiù dove strisce di luce sembrano tendere al cielo, come fossero aquiloni: ci sono nuvole in viaggio nel cielo che rimbomba, come porte socchiuse verso mondi paradisiaci; c'è aria di tempesta, il mare è livido, si crea un vortice di schiuma. Di fronte a questo spettacolo il poeta non è travolto dalle emozioni, anzi. Esprime un desiderio: che il vento possa far suonare anche il suo cuore, che è simile a uno strumento scordato.
Insomma, il poeta si sente un po' spento: il suo cuore non lascia sgorgare melodie di emozioni o armoniche sensazioni; è scordato e se qualcuno provasse a suonarlo non ne verrebbe fuori un granché. Gli sembra che il vento sappia ben più di lui far risuonare gli strumenti che ha a disposizione, mettere in moto le nubi, sconvolgere il mare, scuotere gli alberi. Una simile tempesta è ben lontana dal suo animo e un po' ne sente nostalgia.
Lezione uno: qualche volta le poesie di Montale sono comprensibili
Lezione due: anche i grandi poeti a volte non sentono grandi emozioni, anzi; però lo sanno raccontare in modo spettacolare.

Lezione tre: i richiami alla musica sono il filo che attraversa tutto il testo, dal titolo (corno inglese) alla tromba marina fino allo strumento scordato, il cuore. La poesia è una ragnatela di parole e bisogna seguire i diversi fili che ne tessono la trama.

lunedì 20 luglio 2015

Scendere agli inferi, volare lontano

Mi sa che i poeti hanno alcune fissazioni.
La luce ed il buio, prima tra tutte.
L'accendere una luce, in particolare.
L'idea di scendere in profondità, in qualunque modo.
Il cielo, che sia pieno di stelle o azzurro divino.
La sofferenza (almeno un po').
Dio (evocato o no)
L'inesauribile e tutto quello che non finisce.



Vola alta parola


Vola alta, parola, cresci in profondità,
tocca nadir e zenith della tua significazione,
giacché talvolta lo puoi --sogno che la cosa esclami
nel buio della mente--
però non separarti
da me, non arrivare,
ti prego, a quel celestiale appuntamento
da sola, senza il caldo di me
o almeno il mio ricordo, sii
luce, non disabitata trasparenza...

La cosa e la sua anima? o la mia e la sua sofferenza?

Mario Luzi

Mario Luzi in questo testo si rivolge direttamente alla poesia, per chiederle di assolvere alla sua funzione;  in questo modo ci chiarisce (si fa per dire) che cosa per lui debba essere il testo poetico. 
Cosa deve fare, dunque, la poesia?
Volare alta e crescere in profondità, quindi espandersi in ogni direzione, toccando gli estremi opposti (nadir e zenith); ma non si sta parlando di espansione in senso spaziale; si tratta di allargarsi in tutta la propria potenzialità di parola poetica, uno slancio a coprire ogni possibile direzione di significato.
La poesia ci viene presentata come uno strumento per potenziare la parola e portarla ai vertici estremi: in alto e nel profondo, come a volte è in grado di fare.
La poesia è anche un sogno (visione) capace di "gridare" le cose, (acclamarle, come si acclama un attore a tornare sul palco), portandole alle luce nei riflettori nel buio della mente: la poesia che porta alla luce, come il tuffatore di Ungaretti che disperdeva i suoi canti.
Tale potere della parola poetica non deve però diventare, per Luzi, un freddo esercizio retorico: il testo deve essere capace di trattenere in sé il calore umano della persona, deve essere "abitata".
Il viaggio della parola poetica porta lontano, ad appuntamenti celestiali, ed in qualche modo il poeta chiede di poter essere trasportato in quei mondi luminosi.

Questo testo è una preghiera: ti prego, è esplicitamente scritto. Il poeta prega la parola (e nella tradizione ebraica la parola è divinità) di essere un tramite, un mezzo per raggiungere le mete più ambizione dell'esperienza umana: il profondo, l'altissimo, le dimensioni che superano i confini dell'orizzonte.
Il testo si chiude con un dubbio: la poesia esprime l'essenza delle cose o la sofferenza umana? Lascerei la questione aperta ad analisti più attrezzati.


domenica 19 luglio 2015

Le bugie e le rime

Questa poesia di Caproni è utile (oltre che bellissima) perchè ci fa chiaramente capire l'importanza dei suoni nella pratica poetica. I suoni evocano immagini e dicono cose che vanno oltre il significato delle parole.

Vediamo di riordinare le idee.

I poeti lavorano nel buio: profondità marittime, notti solitarie.
I poeti vivono tra luce e buio: risalgono al giorno, accendono stelle e candele.
I poeti dicono bugie.
I poeti utilizzano le parole per il loro suono oltre che per il loro significato, raddoppiando (come minimo) la portata della loro comunicazione.