lunedì 13 luglio 2015

... perch'io che nella notte abito solo





…perch’io, che nella notte abito solo,
anch’io, di notte, strusciando un cerino
sul muro, accendo cauto una candela
bianca nella mia mente – apro una vela
timida nella tenebra, e il pennino
strusciando che mi scricchiola, anch’io scrivo
e riscrivo in silenzio e a lungo il pianto
che mi bagna la mente…

Giorgio Caproni


Ecco un altro testo che ci racconta come lavora un poeta: si tratta di Giorgio Caproni, livornese, per nulla pazzo. Così racconta il suo lavoro di creazione.
Un uomo solo nella notte, un uomo che abita la notte, come se vivesse in quel buio e in quella solitudine. Ma quell'io, quella voce che viene dal buio diventa subito un “ anche io”: parla con noi, ci dice che sa, non è l'unico ad abitare quel mondo.
Nella notte accende una candela, strusciando sul muro un cerino: in quel silenzio sentiamo lo strusciare, movimenti minimi, una luce che si accende ma debole, timorosa. Nel calore di quel piccolo spazio illuminato l'uomo scrive, a lungo, e scrive del suo dolore; lo scrivere (il pensare)  accende una seconda luce, il bianco di una vela che si apre nella mente, in contrasto con il buio e con il muro accanto: una timida vela, che forse potrebbe regalare un momento di apertura, un andare per mare, nella luce. Una candela, una vela: la candela è accesa dal cerino, che struscia sul muro; la vela si apre grazie al pennino, che struscia (sulla carta) e bagna la mente: sta scrivendo del dolore, il pennino perde inchiostro, scendono lacrime nella mente. Scrive, anche lui (come tutti?), in quel buio, appena rischiarato, in quel silenzio, rotto da struscii e scricchiolii. Tutto è minimo, un bianco e nero essenziale. E il poeta non ha la maiuscola: è uno come altri, che accende cautamente una luce nel buio e apre timide vele. Niente voli pindarici, nessuna illuminazione eccezionale. Una mente che scrive e scrive il proprio dolore, con qualche accenno di apertura alare.

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