sabato 11 luglio 2015

Il porto sepolto




Il porto sepolto

Mariano il 29 giugno 1916.

Vi arriva il poeta
e poi torna alla luce con i suoi canti
e li disperde

Di questa poesia
mi resta
quel nulla
di inesauribile segreto.

Ho deciso di partire dall'Egitto, per il nostro viaggio nella poesia italiana, da un luogo-mito al quale Giuseppe Ungaretti ha affidato il compito di rappresentare l'essenza della costruzione poetica: il porto antico di Alessandria, di cui si narrava fosse sepolto nel mare. E' un testo perfetto per cominciare, per vari motivi: prima di tutto perchè è stato scritto all'inizio del secolo scorso quando la poesia ha preso decisamente la forma che oggi è per noi più riconoscibile; inoltre è un testo-dichiarativo di che cosa Ungaretti intendesse per poesia. Appunto, di questo si tratta: che cos'è mai la poesia? La domanda è sbagliata, lo sappiamo, perchè nessuna risposta sarà mai abbastanza chiara e esaustiva: si tratta di una delle espressioni umane più complesse, legata al mondo del sonoro e dell'immagine, e contemporaneamente strumento che potenzia la possibilità della parola di produrre senso e significato.

E allora ascoltiamo le parole, e lasciamo che facciano il loro lavoro: produrre suoni, evocare immagini, creare significati.
Sono pochi versi, divisi in due strofe. La prima strofa ci dice semplicemente che il porto sepolto del titolo è il luogo dove arriva il poeta e da dove poi torna portando con sé i suo canti, che vanno subito dispersi. Il poeta ci viene quindi narrato come un tuffatore, qualcuno che scende negli abissi oscuri e da laggiù torna ricco di “intuizioni” che non sono ancora parola, stanno ancora più vicini al mondo musicale. Queste canti, appena arrivati alla luce, anziché nascere, appunto “venire alla luce”, si disperdono: il loro luogo è la profondità oscura del grembo marino ed il loro viaggio verso i mondi della ragione (illuministica ratio) è destinato a dissiparli. Come un sogno che al risveglio ci sfugge.
Non dimentichiamo però che quel luogo, dal quale giunge il poeta, non è l'abisso oceanico popolato di mostri fantastici, ma il Mare Nostrum, caldo e cullante, che custodisce i resti del nostro passato: in questo caso un porto, luogo di approdo e rifugio.
Il mare, il porto, il grembo materno, l'infanzia, la luce e l'oscuro: forse è proprio così che funziona la poesia, producendo un movimento interpretativo potenzialmente infinito.
Per semplificare un po': il poeta sembra essere qualcuno che può accedere ad un mondo misterioso, situato in profondità e da lì tornare a noi, ricco di canti che ha raccolto in quelle lontananze. Io lo imagino scintillante e vigoroso, un giovane eroe greco-alessandrino che si tuffa dagli scogli e riemerge per portarci i suoi doni. Diperdendoli.

Qualcosa rimane, di quei canti perduti, di questa poesia; rimane un nulla. Anzi, rimane quel nulla: l’aggettivo ci fa capire che è un qualcosa di conosciuto, di determinato. E’ quel nulla, conosciuto, già sperimentato, che ha il sapore di un segreto. Il poeta laggiù ha trovato qualcosa, un segreto inesauribile, una ricchezza inafferrabile ma infinita. E a noi cosa rimane? Una poesia, che ci racconta di come i canti si disperdano alla luce, che ci ricorda che esistono fonti di segreti inesauribili e che prova a raccontarci a cosa tende il lavoro dei poeti.



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