Mariano
il 29 giugno 1916.
Vi
arriva il poeta
e
poi torna alla luce con i suoi canti
e
li disperde
Di
questa poesia
mi
resta
quel
nulla
di
inesauribile segreto.
Ho
deciso di partire dall'Egitto, per il nostro viaggio nella poesia
italiana, da un luogo-mito al quale Giuseppe Ungaretti ha affidato il
compito di rappresentare l'essenza della costruzione poetica: il
porto antico di Alessandria, di cui si narrava fosse sepolto nel
mare. E' un testo perfetto per cominciare, per vari motivi: prima di
tutto perchè è stato scritto all'inizio del secolo scorso quando la
poesia ha preso decisamente la forma che oggi è per noi più
riconoscibile; inoltre è un testo-dichiarativo di che cosa Ungaretti
intendesse per poesia. Appunto, di questo si tratta: che cos'è mai
la poesia? La domanda è sbagliata, lo sappiamo, perchè nessuna
risposta sarà mai abbastanza chiara e esaustiva: si tratta di una
delle espressioni umane più complesse, legata al mondo del sonoro e
dell'immagine, e contemporaneamente strumento che potenzia la
possibilità della parola di produrre senso e significato.
E allora ascoltiamo le parole, e
lasciamo che facciano il loro lavoro: produrre suoni, evocare
immagini, creare significati.
Sono pochi versi, divisi in due strofe.
La prima strofa ci dice semplicemente che il porto sepolto del titolo
è il luogo dove arriva il poeta e da dove poi torna portando con sé
i suo canti, che vanno subito dispersi. Il poeta ci viene quindi
narrato come un tuffatore, qualcuno che scende negli abissi oscuri e
da laggiù torna ricco di “intuizioni” che non sono ancora
parola, stanno ancora più vicini al mondo musicale. Queste canti,
appena arrivati alla luce, anziché nascere, appunto “venire alla
luce”, si disperdono: il loro luogo è la profondità oscura del
grembo marino ed il loro viaggio verso i mondi della ragione
(illuministica ratio) è destinato a dissiparli. Come un sogno che al
risveglio ci sfugge.
Non dimentichiamo però che quel luogo,
dal quale giunge il poeta, non è l'abisso oceanico popolato di
mostri fantastici, ma il Mare Nostrum, caldo e cullante, che
custodisce i resti del nostro passato: in questo caso un porto, luogo
di approdo e rifugio.
Il mare, il porto, il grembo materno,
l'infanzia, la luce e l'oscuro: forse è proprio così che funziona
la poesia, producendo un movimento interpretativo potenzialmente
infinito.
Per semplificare un po': il poeta
sembra essere qualcuno che può accedere ad un mondo misterioso,
situato in profondità e da lì tornare a noi, ricco di canti che ha
raccolto in quelle lontananze. Io lo imagino scintillante e vigoroso,
un giovane eroe greco-alessandrino che si tuffa dagli scogli e
riemerge per portarci i suoi doni. Diperdendoli.
Qualcosa rimane, di quei
canti perduti, di questa poesia; rimane un nulla. Anzi, rimane quel
nulla: l’aggettivo ci fa capire che è un qualcosa di conosciuto,
di determinato. E’ quel nulla, conosciuto, già sperimentato, che
ha il sapore di un segreto. Il poeta laggiù ha trovato qualcosa, un
segreto inesauribile, una ricchezza inafferrabile ma infinita. E a
noi cosa rimane? Una poesia, che ci racconta di come i canti si
disperdano alla luce, che ci ricorda che esistono fonti di segreti
inesauribili e che prova a raccontarci a cosa tende il lavoro dei
poeti.
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